Lo sguardo di Proust


Quel mattino, trascurando ogni mio umano dovere, erravo per le strade di Roma.

E cammina di qui, divaga di là, mi ritrovai alfine alla libreria di Largo Argentina, rifugio ideale per chi non c’ha voglia di far niente quel giorno lì. C’è pure un caffè.

Ha una bella luce.

Dopo essermi bevuta un cappuccino gigante

e aver guardato dall’alto libri importanti

ma anche altri di cui non mi importava niente

sentii che ancor non mi aggradava di tornare a casa. Perchè non approfondire piuttosto un nuovo sapere? Alla ricerca del nuovo sapere, scesi al reparto delle scienze umane, ove mi imbattei nei volumi della morfopsicologia. La morfopsicologia è lo studio della faccia che c’hai, o per meglio dire la scienza che ci studia i visi e studiandoceli dice chi siamo. Mi parve una sapere alquanto interessante.

Tanto che subito mi dissi: ma come vissi fin qui senza il sapere della morfopsicologia?

Comprerò ora il libro migliore della morfopsicologia umana e subito lo leggerò! Così capirò in poco tempo chi è quella persona lì che mi sta davanti, e quanto è amabile. Oppure metti che qualcuno abbia discorsi che non mi interessano proprio, potrò sempre studiargli la faccia che c’ha, così non mi annoierò.
Ero insomma proprio impaziente che il signor autore Corman mi spiegasse il mistero degli altri e della faccia che c’hanno.

Per questa impazienza di sapere, pagato il libro, subito riprendevo a sfogliarlo.

E lì, tra lo stare e l’uscire, tra la porta a vetri e la piazza, della mia impazienza di sapere  venni punita con quell’indelebile visione. L’immagine stava nel paragrafo sull’espansione cerebrale, tipica di chi è caratterizzato dalla predominanza della vita dello spirito.
Era la fotografia impensabile del mio scrittore preferito. Per lunga malattia, portava la barba non fatta, non come qui. In questo ritratto, come in ogni altro, non ha barba.

Nel libro, invece, aveva la barba, e incolta. Immortalato così dal fotografo Helleu, Proust se ne stava, inconsapevole, a pag. 178. Quella foto, secondo Corman, era indispensabile, la più adatta a dimostrare l’espansione affettiva dello scrittore.

Ma ritraeva Proust malato, un po’ più che malato. Era un Proust senza difesa, come addormentato, senza sguardo. Credo che non c’era più, credo che non aveva più vita. Era Proust senza vita. E io l’ho visto! Perché? Corman traditore! Mai avrei voluto. Però l’ho visto. Proust addormentato. Proust che non c’era più. Proust che non ti mostrerò.

Io ormai l’ho visto. Cercavo evasione, cercavo gioco, quando mi sono imbattuta nella foto scattata da Helleu. Così ho visto Proust. Un Proust impensato. Inimmaginato. Ho visto Proust. Era Proust senza sguardo.
 
 

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