la casa d'angolo


Il codice d’accesso è cambiato.

Il resto no. Non è cambiato l’ingresso buio, con le pattumiere a vista. L’entrata è brutta, e lo stabile pure. Tutto squadrato, in cemento.

Come quello in cui viveva mia nonna alla Bicocca. E’ brutto in quel modo particolare lì, e per questo mi piace. E’ brutto e in più non ha l’ascensore. Però ha delle belle scale.

Troppo ripide, dicevano tutti. BB, quando ero molto pigra, mi piazzava le sue belle mani sul culo e mi spingeva. Mi è sempre piaciuto, salendo, osservare i vetri delle finestre. Sono tutti diversi. Quando si rompono, il condominio le sostituisce con vetri a caso, tutti lavorati.

Le finestre delle scale sono un patchwork. Intorno, il muro si scrosta. Fosse stato qui, BB si sarebbe seccato. Io non sono come lui. Noto quello che non mi piace una volta e poi non guardo più. Ho sempre avuto uno sguardo selettivo. Quindi il muro si scrosta e pace.


E poi certi giorni mi piace, il muro scrostato.

Al secondo piano incontro la signora con gli occhiali. Non mi vede da sei anni. Mi riconosce, mi dice buongiorno e imperturbabile continua la discesa, come se mi avesse incrociata settimana scorsa l’ultima volta. Incontrerò nei giorni successivi la signora del sesto, con i lunghi capelli neri, il corpo ossuto sotto il tailleur e lo sguardo impallato. BB la credeva una strega. Anch’io. Al suono dei suoi passi inesorabili, per scongiuro mi facevo il segno della croce. Lui, ateo, si toccava le palle. Una volta per terrore abbiamo abbandonato la salita, scendendo a precipizio le scale. Sul marciapiedi, siamo esplosi in risate.


Salendo, la tromba delle scale diventa sempre più luminosa.
Quando apro la porta il piccolo appartamento è chiarissimo.

E’ un appartamento d’angolo con sette finestre. L’ho abitato per cinque anni con BB. Da sei anni non ci torno più. La luce della piccola sala è eclatante e senza contrasti proprio come la ricordavo: la stanza ha finestre su tre lati e nessuno spazio per le ombre.

Ma quello che ha di perfetto è la distanza dalla strada. Non tanto grande da farti perdere i dettagli, non così piccola da privarti della visione d’insieme.


Ti affacci e la strada è il tuo cinema, il tuo teatro sulla vita degli altri.

Comincia la mattina presto. Vedo padri bellissimi e assonnati accompagnare bambini piccoli a scuola. Se li trascinano dietro e non si accorgono di sollevarli da terra. I figli, increduli, stringono la loro mano e fluttuano leggeri . Durante il giorno osservo i clienti ai tavolini dei caffè e dei ristoranti. Quando vivevo qui con BB, spiavo anche il suo studio, che stava quasi di fronte. Col bel tempo, BB si affacciava ogni volta che stava al telefono. A volte stava lì a guardare e a pensare. Un giorno l’ho chiamato al cellulare e l’ho visto decidere di non rispondermi. Quando il brutto tempo mi privava dello spettacolo di BB, potevo sempre guardare i vicini. Dalla camera si ha la vista migliore. L’uomo è alto, slanciato. L’ho sempre trovato bello. Si alza ancora molto presto, prima della compagna. Si mette subito al computer. Quando lo raggiunge, la compagna si curva su di lui e lo bacia sul collo o sulla guancia. Alle loro spalle, un grande quadro che prima non c’era. Il quadro non mi fa desiderio, perché amo le pareti tutte bianche. Invece vorrei i baci e anche dei mobili già assemblati. Qui la casa è tutta vuota. Mi devo montare da sola i mobili comprati, ma non mi decido a iniziare.

Quando finalmente scarto gli imballi, ho immediatamente una crisi di sconforto, con lacrime e tutto. Siccome nessuno mi viene a soccorrere, mi calmo e comincio ad assemblare.


A poco a poco monto le tre librerie.

Ogni tanto faccio pausa e spalanco le finestre per controllare che in strada tutto proceda bene. Per riposarmi, guardo il cielo dal divano.

Quando scende la sera, però, dall’alto non distinguo più i passanti. Vedo solo le luci delle macchine. Allora mi sale l’inquietudine. Se mi metto a cucinare mi viene in mente quando in cucina si era in due e lo spazio era angusto e gli strusciamenti ineluttabili. Una bella ineluttabilità. Oppure mi ricordo certi aperitivi infiniti sul divano e quel corpo infinito pure. Allora ho troppo male, devo uscire. Se non riesco a dare appuntamento a nessuno, vado in biblioteca, oppure al cinema Beaubourg. Sono entrambi affollati, mi ci stordisco di immagini e presenze e non mi sento più sola. E poi mi piace imparare: tornando a casa sono quasi allegra. Decido che se riuscirò a non respirare tra il terzo e il quarto piano l’allegria resterà intatta. In camera, mi sdraio sul letto a immaginare. E a guardare: resto al buio ad osservare i vicini di fronte. Parlano seduti a tavola, oppure chiacchierano riordinando i piatti in una speciale intimità. Mi sembrano immagini di futuro, il mio. Chiudo gli occhi illanguidita e immagino quello che voglio, quello che forse sarà. Quando li riapro li ritrovo abbracciati e la loro casa è un’ellissi nel futuro, un palcoscenico, un set, un film girato solo per me.

Parigi, primavera 2012

5 commentaires pour “la casa d'angolo

  1. grazie Adriana! Ho scritto questo fotoracconto più di un anno fa, prima dell’editing dell’Aeroracconto, dell’uscita del libro, delle recensioni, delle presentazioni, dei reading…Dopo tutto ciò, la casa d’angolo non mi fa più lo stesso effetto. Però io sono contro i revisionismi, così in questa giornata di vacanza dopo la chiusura di un lavoro ritrovo e pubblico volentieri questo fotoracconto. baci a te

  2. C’è molta profondità nel racconto … ed il racconto mi ricorda anche alcune frasi del tuo ultimo libro : approdare alla dolcezza della vita com’è , ricordare che il bene c’è e sentirne il conforto , ricordare che il terrore è inutile e che servono invece speranza e coraggio . Grazie per i solidi nuclei di speranza che ci trasmetti
    Giorgio

  3. Sono io a dirle grazie , davvero . E visto che il libro ha anche la lista delle canzoni , alimento la sua passione musicale suggerendole  » Maybe not tonight  » di Glen Hansard .

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