Eric Fottorino, direttore di Le Monde e romanziere

Il 6 aprile, a Parigi, ho intervistato per D di Repubblica Eric Fottorino, direttore di Le Monde, negli uffici del giornale. L’appuntamento era alle nove di mattina, che per me è l’ora in cui metto il piede fuori casa e articolo i primi suoni. Non per Fottorino: si sveglia alle sei, e alle sette e trenta ha già avuto la prima riunione di redazione! Tutti gli uomini di potere si svegliano presto. Se volete avere potere, svegliatevi presto. Se non volete svegliarvi presto, poi non lamentatevi di non avere potere.
Il potere tranquillo si sente subito. Anche quella mattina si è manifestato immediatamente, appena l’ascensore ha raggiunto il piano. La segretaria stava lì, con la camicia bianca e il mezzo tacco. Gentile e tranquilla. Io non avevo il mezzo tacco e non ero tranquilla, ma comunque ho fatto un figurone che ancora se lo ricordano, perché spaccavo il minuto. Puntualissima. Venivo da Menilmontant, dove François mi ospitava. Avevo cronometrato tutto, avevo pure calcolato il margine per l’atto mancato. Io soffro molto per gli atti mancati. Così, mille prudenze a ogni intervista. In particolare per questa, importante per la presenza dell’elemento Le Monde, che le conferiva una dimensione avventurosa, ma soprattutto per il romanzo che dell’articolo era il motore. Baci da cinema (ed.Nutrimenti) è entrato nella mia vita due anni fa, nella versione francese, con un certo clamore. Bang! Perché racconta la passione per la luce, per una persona assente, per un genitore assente, e l’ossessione per il cinema, l’ossessione amorosa, l’ossessione tout court, la tossicomania da ossessione, l’astinenza da ossessione, etc. Temi che mi sollecitano, e nei quali mi oriento o disoriento facilmente.


Ovvio che fossi agitata, allora, che mi sentissi in gioco. Già dal giorno prima, e prima ancora. Volevo essere davvero pronta, molto pronta, e non smettevo di rileggere gli appunti. E poi la mattina, nella sala d’aspetto di Le Monde, quest’apprensione ha preso la forma di un’ossessione di controllo focalizzata sul registratore minidisc, che avevo già controllato in metropolitana. Che avevo già controllato la sera prima. E che, controllato e ricontrollato, era a posto, perfettamente a posto. E in realtà tutto era pronto: il minidisc, le domande, e persino io. Non si scappa da un momento un po’ solenne, costruendosi un inutile panico da minidisc!

L’ufficio di Fottorino non è solo grande. Quanto è luminoso! Tutto vetrato, sul boulevard. E nella stanza ho visto: La comédie Humaine di Balzac, la libreria tutta curve di Ron Arad (e se non era quella assomigliava), e una scatola piena di graffette sulla scrivania. Le graffette sulla scrivania hanno avuto il loro ruolo. Nell’articolo lo spiego. I primi secondi di registrazione dell’intervista, a riascoltarli, suonano surreali. Perchè stavo per dire una cosa, ma poi in corsa ho cambiato idea, cosí la prima domanda è venuta un po’ sconnessa. Però ho recuperato subito. Quello che stavo per dire a Fottorino, ma che nel mentre mi è parso completamente fuori luogo, è che io mi oriento cosí bene tra le sue pagine perchè il suo dolore d’infanzia è simile al mio. Lui è figlio illegittimo. Se lo so è  perchè ne ha scritto. Durante tutta l’intervista sono stata molto all’erta per capire come ne è uscito così bene (anch’io voglio uscirne bene). Come si è inventato una vita legittimamente costruttiva a partire da un caos di illegittimità? A partire da un padre assente? A partire da una ferita-baratro? Fottorino senza saperlo me lo ha spiegato.  Mi sembra che gli ci siano volute tre cose
a) LA MAGIE DU CAHIER
La magie du cahier (la magia del quaderno). La scrittura come momento di intimità, di verità, di ricognizione. Nel cahier si nomina, si coltiva lo sguardo, si esplorano le ferite, si curano le ferite. Quando mi ha mostrato il cahier su cui scrive il prossimo libro, Fottorino si è illuminato. Aveva un trasporto, un innamoramento per il quaderno che non potevo non sentire. Volete ascoltare anche voi cosa diceva e come lo diceva? Vi ho montato un minuto d’audio. Il volume purtroppo è un po’ basso. Con delle cuffie peró si sente benissimo.
Intervista audio :

Ecco la traduzione:
L.L. Ma lei scrive a mano?
E.F. Sì, su dei quaderni. Mi piace che la scrittura segua il ritmo dei battiti del cuore, della respirazione, il ritmo naturale, non quello della macchina. Per me la macchina è il giornalismo. Ecco, questo è un quaderno con un testo che pubblicherò in un libro. Vede?
L.L. Ma non ci sono quasi correzioni…
E.F. Dipende, certe volte ce ne sono, e poi a volte faccio delle aggiunte. Vede qua?L’ho portato per mostrarglielo. Vede? Qualche volta ce ne sono (correzioni). Ecco, questo è un libro. Per un prossimo libro ho tre taccuini così. Non sono grandi, li posso mettere in una tasca con una penna e portarmeli ovunque. Sono della buona dimensione. Ci ho messo tempo, a trovarne di cosi adatti. Me ne hanno regalato uno e ho detto: ma questo è perfetto! Perché ha la spirale e quindi si possono girare le pagine facilmente, e poi posso scrivere bene. Vede, sembra già un libro! Certo poi bisogna dattiloscriverlo…
L.L. Ma non ha paura di perderlo?
E.F. Si.Ma bisogna sempre avere paura quando si scrive…
L.L. Paura di cosa, a parte di perdere il quaderno?
E.F. Nella paura di perdere il quaderno ci sono tutte le paure. La paura di non riuscire a continuare, di non riuscire ad arrivare fino in fondo, la paura di essere obbligati a ricominciare…
b) UN ACCORDATORE DI CORPI
Quando si è molto feriti, bisogna ricominciare dal corpo. Perché il dolore, quando è troppo, si incista dentro, ci irrigidisce i muscoli, ci blocca in lunghe apnee, ci limita. Bisogna farsi aiutare: serve un accordatore di corpi. L’accordatore di Fottorino è stato il padre adottivo, che era chinesioterapeuta, e l’ha curato, riparato. E dopo gli ha insegnato a ‘leggere’ i corpi degli altri, che raccontano tante cose. All’accordatore di corpi (insomma al padre adottivo) Fottorino dedica L’homme qui m’aimait tout bas (Gallimard), recit autobiografico.

Il  personaggio dell’accordatore di corpi torna nel romanzo Un territoire fragile (Folio). Il corpo dice la verità su di noi, racconta la nostra storia. Fottorino in questo romanzo, che scuote e fa un po’ male, dice benissimo perché e come.
c) SAPERE DOVE SI HA MALE
Fottorino esplora le proprie fragilità, e anche nel corso di un’intervista sa nominarle. Ma non come persona che chiede aiuto. Come persona che sa chi è. Sapere dove si ha male non toglie forza o potere, né capacità di costruire. Al contrario. Ascoltando e osservando Fottorino, mi è sembrato evidente

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